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Radiografia dell’autorità ecclesiale.
Sesto anello egoisticale: il monopolio del potere.
Monopolio sacramentale. Monopolio sessual-sponsalconiugale.

C’è una vita che ottiene la stima: pura stima egoisticale.
*) C’è pure una vita che ottiene la disistima: eccola!
1) Si parte da un dato universale: ogni forma di vita terrestre
va al suo esaurimento, alla sua estinzione. Così è
per la vita vegetale, animale, umana. Volendo però
garantire la continuità, Dio ha provveduto alla inseminazione
di ogni vita. Ogni vita o ha, o produce i semi
per il suo rinnovamento.
2) Dal dato universale consegue una conclusione affermativa:
per sua natura ogni forma di vita è sacrificale: ogni
forma di vita, non esclusa l’umana. Non sempre la si è
detta così. La Chiesa ebraica non l’ha detto così. Ce ne
dà conferma la Genesi e con essa tutto l’Antico
Testamento. Si era data una sua immagine di Dio, per la
quale Dio non poteva che dare origine a entità unicamente
buone. Così nel racconto della creazione. Dio per ben
cinque volte guarda e si compiace delle cose create: ‘ E
Dio vide che ciò era cosa buona’. Ignora completamente
la sacrificalità cosmica. Per cui quando deve far parola
del diluvio universale, ricorre a una spiegazione fittizia:
la generale prevaricazione umana viene da Dio punita
con un immane castigo cosmico. Si era pure fissata a una
immagine di un Dio immortale e impassibile, per cui non
poteva discendere da Dio una vita umana mortale e passibile.
Davanti alla universalità della morte ricorre a una
spiegazione fittizia: il sacrificale della vita lo fa derivare
da una aggiunta punitiva per una grave disobbedienza
iniziale. La duplice soluzione viene guidata unicamente
dalla egoisticità intellettuale. La sacrificalità del cosmo e
della vita umana contrasta con la egoisticità dell’uomo e
la si aggiudica a interventi divini esterni: vita e sacrificalità
non congenite, non coessenzialità creativa, ma
aggiunta punitiva. In questo la Bibbia non ci ha fatto un
buon servizio. Emerge limpida la realtà vera: la sacrificalità
è coessenziale alla vita umana, inscindibile, anche se
non coestesa, superabile proprio mediante il sacrificale di
passaggio: la morte. Pertanto vita e suo sacrificale sono
in congiunzione dall’inizio. Insieme compongono il
dono Paterno: dono di Dio è la vita sacrificale.
3) Dove si radica la sacrificalità della vita? La radice è
tutta nella forma potenziale o piccolare che ha dato alla
vita, riproducendo la stessa forma che il Padre si è dato
alla sua metamorfosi divina. Incominciammo così: un
sommo concentrato di potenzialità vitali armoniosamente
consegnate a comporre un programma perfettissimo.
Vita e suo sacrificale egualmente programmate.
4) A riguardo della sacrificalità della vita c’è però un dato
allarmante: in ogni persona è presente e operante una
grave scissione o lacerazione fra la vita e la sua sacrificalità.
La scissione induce un trattamento diverso: si
ama la vita, mentre si odia il suo sacrificale.
La scissione, umanamente insanabile, è stata indotta dall’amore
Paterno egoisticizzato e istintivizzato. Per istinto
infatti la persona ama la vita che piace e odia il sacrificale
che non piace. Solo che l’odio antisacrificale deve registrare
amaramente la sua impotenza.
Il sacrificale non si lascia uccidere; tutt’al più solo
momentaneamente sospendere. È allora che scatena la
vendetta sulla vita. Eliminando quella, si elimina il sacrificale.
Maturano così gesti insani e forse decisivi per il
destino eterno. Ora la persona si toglie la vita violentemente:
il suicidio. Ora domanda la dolcificazione della
morte: eutanasia. Ora domanda al medico che lo assiste
nella sua volontà suicida: suicidio assistito. La scissione
induce una serie sconfinata di strazi psicologici. Almeno i
cristiani avranno ricomposto in unità psicologica vita e
suo sacrificale. È questa l’operazione specifica di cui un
vero cristiano è reso capace. Tre punti di domanda sull’essere
cristiano dei miei fratelli.
Amano la vita, ma non accettano il suo sacrificale. Come
minimo: riservano disistima alla sacrificalità della vita.
Peggio: le riservano rifiuto, disprezzo e odio. Al colmo:
sfiducia in Dio e definitiva sua eliminazione. Si deve in
questi casi affermare che il sacrificale non è stato ancora
redento, non liberato dalla schiavitù dell’amore egoisticale,
niente affatto santificato e meno ancora fatto salvifico.
La scissione produce uno strazio di vita. Lo si vive alla
comparsa del suo sacrificale; al suo compimento dovrà
essere assaporato in tutto il suo spasmo psicologico. Vita
pacificata e morte serena è garantita al cristiano che
ricompone in unità armonica vita e suo sacrificale. Questo
vediamo nei fratelli cristiani: ingannevole presenza di
stima egoisticale e pericolosa assenza di stima sacrificale.

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